giovedì 17 novembre 2011

Lettera dall'Argentina


Monicelli disse che, purtroppo, in Italia la Rivoluzione non c'è mai stata. Gli angloamericani hanno messo fine al fascismo, non gli italiani. La BCE ha cacciato Berlusconi, non gli italiani e neppure un'opposizione collusa e di cartapesta. I nuovi padroni hanno sempre sostituito i vecchi in questo Paese di servi. Forse ora, almeno una volta nella nostra Storia, potremmo tentare di liberarci da soli. Questa lettera dall'Argentina è un messaggio di speranza. 

"Caro Beppe, cari tutti,
da piccola mio padre mi raccontava, e io la sognavo, l’Italia. La vostra meravigliosa penisola e il Mediterraneo erano per noi non soltanto la culla, insieme con la Grecia, della civilizzazione occidentale: per il 40% della popolazione dell’Argentina l’Italia era la Madre Patria. Ci chiedevamo perché dovessimo parlare lo spagnolo, con cui non avevamo niente a che fare. I nostri genitori compravano – delle volte con fatica – riviste italiane come la Domenica del Corriere, e noi bambini guardavamo le vignette “Senza parole” cercando di capirle, intanto ascoltavamo Iva Zanicchi cantare “Fra noi”. In buona parte del mio Paese i cognomi sono esattamente i Vostri.

Circostanze fortuite fecero sì che venissi in Italia da ragazzina, volando sola dagli zii e che, subito dopo, ci fosse in Argentina il golpe del ’76. Mio padre decise che era meglio che restassi in Italia. E cosi fu. In Argentina tornai nell’83 dopo una frase di mio cugino di Baudenasca (Pinerolo), che guardandomi soffrire in una crisi di nostalgia mi disse: “Generazione che emigra é generazione perduta”. Scelsi allora che la mia casa sarebbe stata per sempre l’Argentina. Comunque l’Italia é nel mio sangue e nel mio cuore, tanto da portarne la Carta d’Identitá nel portafoglio insieme con il mio Documento Nacional de Identidad. Seguo quindi le questioni italiane da sempre, guardo Rai International come tantissimi argentini, la piú vasta popolazione d’origine italiana in un Paese estero, anche se l’Italia ci ha spesso ignorato. 

Ho assistito sbalordita a molte vicende italiane degli ultimi anni cosí come alle avventure del Vostro Cavaliere. In Argentina, quelli che voi chiamate i “poteri forti”, non avendo potuto rialzarsi nonostante il golpe e la dittatura, si inserirono nel governo Menem, corrompendolo e travolgendolo sin dall’inizio. Per poco non riuscirono. Va peró detto che dopo Menem siamo riusciti a reagire e quando, con il governo dell’Alianza di De La Rua, vollero darci il colpo finale, la popolazione nelle piazze lo forzó a rinunciare e se ne dovette andare. Non sono stati loro, i “poteri forti”, a cacciare chi era disposto a fare le riforme che vi dicono ora che “ci vogliono” e che un governo da voi eletto non puó fare perché “impopolari”. Siamo stati noi, i cittadini nelle strade, a cacciarlo via nonostante fossimo confusi perché ci tenevano come voi con le spalle contro il muro, attanagliati dai titoli a caratteri cubitali sui giornali con il “Riesgo País” (il vostro “Spread”) che ci avrebbe portati tutti all’inferno se non prendevamo la cicuta. 

Il dilemma era uguale a quello che é posto a voi e ai greci "Se non volete morire ammazzati, suicidatevi poco a poco". La legge di “Flessibilizzazione del lavoro”, approvata dal governo De La Rua pagando i senatori, fu derogata. I contributi (persino quelli), che erano stati privatizzati e consegnati ai “Fondi Pensione”, sono stati recuperati dallo Stato. Il PBI (prodotto interno lordo, ndr) argentino, che nell’anno del default andó giú strepitosamente (-11% nel 2002), cominció subito a crescere ad una media dell’8-9% annua sin dal 2003 e chiuderá il 2011 con una crescita del 7% nonostante la crisi internazionale. Centinaia di ricercatori tornano in Argentina grazie al programma “Radici” del governo; il budget per la pubblica istruzione (dichiarata “bene pubblico” per legge) è passato da meno del 2% del PBI (2001) al 6,5%.

Al “libero commercio” voluto dagli Stati Uniti per il continente americano i nostri Paesi hanno detto no, per volontá di quei presidenti che godono del piú vasto consenso dei loro cittadini e che vengono spesso scherniti dal “Primo Mondo”. Per i media globali Chavez, ad esempio, é un pagliaccio. Cristina, una “populista” che pensa solo a comprare scarpe e borse costose. Evo Morales, un “selvaggio” e cosí via. Stereotipi per screditare i nostri governi perché stiamo resistendo ai “poteri forti”. Cresciamo, abbiamo volontá e fiducia e passione, anche se sappiamo benissimo – perché l’abbiamo imparato a sangue e fuoco – con chi abbiamo a che fare e nonostante loro continuino ad avere qualcuno tra di noi che fa da servo piú o meno ben pagato. Volevo dirvelo, perché l’Italia e gli italiani mi stanno a cuore, perché ho mezza famiglia in Italia. Non lasciatevi portare cosí al macello, non svendete l’Italia. Se non ce la fate Voi, vincono loro. Piú vincono loro, piú siamo tutti a rischio." (Lili A., Santa Rosa La Pampa Argentina)

Fonte: http://www.beppegrillo.it/2011/11/lettera_dallargentina/


IL COMMENTO:

"Una bella lettera, e interessante. Ma ora mi chiedo: è possibile applicare alla nostra Italietta la soluzione di un grande paese come l'Argentina? La nostra appartenenza all'Unione Europea non complica le cose? E se usciamo, siamo sicuri che il nostro Stato da solo possa sopravvivere alla voracità del capitalismo globale? Ho dei forti dubbi. Per questo penso che dobbiamo innanzitutto lavorare perchè trionfi, a livello globale, un sistema politico-economico diverso, maggiormente basato, per capirci, su concetti di equità sociale vicini al marxismo, o se vogliamo, al movimento degli Indignati. Solo così saremmo in grado di uscire da questa crisi senza l'aiuto dei cosidetti 'poteri forti'. In caso contrario, sono pessimista che si produca in Italia un vero cambiamento con le sole armi della protesta pacifica. E' triste dirlo, ma va messo in conto il rischio di lasciarci la pelle in una lotta che potrebbe anche rivelarsi inutile alla fine se, di pari passo ad una lotta interna, non costruiamo anche una comune politica europea. Insomma, l'obiettivo dovrebbe essere la costruzione di una casa (e causa) comune europea partendo dal basso, poichè un'Europa dei cittadini si avrà solo quando belgi, finlandesi, francesi, tedeschi, italiani, irlandesi si sentiranno idealmente vicini, e non solo geograficamente, se saranno uniti in una comune lotta, in un comune impegno politico. Il cammino verso una vera identità europea è ancora lungo purtroppo, ma se vogliamo sentirci europei fin da adesso, e non solo sulla carta, dobbiamo cominciare a smuovere le idee, le coscienze e le comodità su cui per troppo tempo si sono accomodati i cittadini del vecchio continente." (Giorgio Santi)

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